Riflessioni sul recente dissesto della Banca Popolare di Bari e del panorama bancario italiano in generale, in questo particolare momento storico.
Premessa:
Il recente dissesto della Banca Popolare di Bari ripropone, per l’ennesima volta, due tra i principali malanni che affliggono il settore bancario nostrano.
Da una parte il riproporsi di malcostumi nella trasparenza praticata nei confronti dei risparmiatori. Evidentemente anche la MiFID II, (MIFID acronimo di Markets in Financial Instruments Directive), che come ben sappiamo è una direttiva europea sui servizi finanziari, con il preciso obiettivo di aumentare la tutela per chi investe, grazie a un approccio maggiormente trasparente ed efficiente da parte di tutti intermediari finanziari, non pare bastare.
Come affermo da tempo, se non si metterà in atto una vera e propria svolta culturale, e prima ancora quella realmente morale, le pratiche commerciali scorrette continueranno a sorreggere a “mò” di stampella i bilanci sempre più magri delle banche a causa della riduzione dei margini di intermediazione e della politica monetaria dei tassi negativi.
Ancor più allarmante è scoprire che il FITD (Fondo Interbancario Tutela Depositi) non sarebbe capiente in caso di liquidazione della banca, poiché in caso di un dissesto incontrollato, secondo un rapporto di Bankitalia, servirebbero 4,5 mld di €uro per tutelare tutti i correntisti, mentre il fondo, ad oggi, è capiente per solo 1,7 mld.
È un problema non da poco, e stiamo parlando solo dell’ipotetico intervento su UNA sola Banca in crisi …!
La politica poi dei finanziamenti c.d “allegri”, senza cioè avere alla base dei solidi e credibili business plan con cash flow in grado di coprire l’ammortamento del prestito o reali garanzie a supporto, diretti guarda caso agli “amici”, ed ancora agli “amici degli amici”, zavorrano, poi, a peso morto il tutto.
I saldi e stralci ed i mancati rientri, infine, danno il colpo di grazia ai bilanci già traballanti delle Banche.
Il caso Banca Popolare di Bari, tornandoci si riporta quanto evidenziato in un articolo del Sole24Ore:
“Non sono stati sviluppati strumenti e metodologie per indirizzare l’erogazione del credito secondo criteri di redditività corretta del rischio”. Non solo: “Acritico recepimento dei piani finanziari prospettati dalle controparti a supporto delle richieste di affidamento senza verificarne la tenuta ipotizzando scenari meno favorevoli”. E ancora: anche tendenza a sottostimare “la rischiosità della clientela”.
Sono alcuni dei rilievi mossi dalla Vigilanza nel 2016 nei confronti di decine di prestiti elargiti dalla Banca Popolare di Bari a una ventina di società.
Già tre anni fa, l’analisi a campione di alcune posizioni aveva fatto emergere “sofferenze per 1,9 miliardi, inadempienze probabili per 1,3 miliardi e previsioni di perdita per 1,6 miliardi”
Gli ispettori, in sostanza, avevano già censurato l’assenza di una metodologia di erogazione dei prestiti corretta per il rischio. Si criticava, altresì, l’acritica valutazione dei business-plan presentati dalle società richiedenti il fido, senza ipotizzare scenari potenzialmente negativi, cioè degli stress-test, che potessero impattare sulla capacità di rimborso.
Alcune brevi riflessioni merita poi l’impatto di Basilea nella gestione degli affidamenti sia per il versante bancario che per quello delle imprese destinatarie.
Con la conclusione del Nuovo Accordo sui requisiti minimi di capitale nel 2004 (chiamato anche Basilea II) e la sua entrata in vigore nel 2007, le banche iniziarono a implementare la nuova normativa instaurando diversi metodi per la gestione del rischio di credito.
L’Accordo prevede l’accantonamento di capitale per un ammontare pari all’8% della somma delle attività ponderate per il rischio (Risk Weighted Assets).
Per l’individuazione dei pesi necessari a ponderare le attività viene calcolato il rating, composto da quattro elementi:
Probability of Default (PD):
probabilità di insolvenza del debitore;
Loss Given Default (LGD):
misura del rischio di recupero del credito;
Exposure At Default (EAD):
esposizione al rischio di insolvenza, ovvero una misura di quanto tempo ci metterà il cliente a trovarsi in serie difficoltà nel pagamento;
Maturity (M):
scadenza dell’investimento.
Il Nuovo Accordo prevede tre approcci tra i quali la banca può scegliere per il calcolo del merito di credito:
- Metodologia Standard: consente la ponderazione delle attività attraverso l’applicazione di un rating calcolato da agenzie esterne riconosciute dall’autorità di vigilanza nazionale. È il metodo meno costoso ma anche il meno accurato, dato che per la valutazione del merito di credito del cliente le agenzie esterne possono basarsi solo sulle informazioni disponibili pubblicamente;
- Metodologia Foundation Internal Rating Based (F-IRB): solo il primo degli elementi del rating viene calcolato internamente, gli altri tre da agenzie esterne;
- Metodologia Advanced Internal Rating Based (A-IRB): tutti e quattro gli elementi del rating vengono calcolati da un sistema interno, permettendo un’accurata valutazione del rischio per ogni singola voce di attività risultando in una migliore gestione dei requisiti minimi di capitale, evitando l’accantonamento superfluo o insufficiente derivante da una cattiva valutazione dei rischi.
La scelta dell’approccio dipende da variabili diverse per ciascun istituto. Le banche minori infatti, prediligeranno il metodo standard principalmente per i costi ridotti che comporta.
Non si vuole qui annoiare il lettore con tecnicismi, riportiamo solo alcuni parametri che devono rispettare le banche nella loro gestione della liquidità, quali:
Il Liquidity Coverage Ratio = Stock di attività liquide di alta qualità ≥ 100%
Flusso netto di liquidità in uscita nei 30 giorni futuri
O ancora
Il Net Stable Funding Ratio = Ammontare disponibile di fondi stabili ≥ 100%
Ammontare richiesto di fondi stabili
Per quanto riguarda poi il famigerato “score” da applicare alle imprese, i presupposti su cui si basa il Rating Integrato sono il Capital Asset Pricing Model di Markowitz e il Certo Equivalente di Lintner.
Il CAPM è usato per calcolare il premio al rischio di un investimento inserito in un portafoglio ben diversificato, dato il suo livello di rischio non diversificabile (solitamente corrispondente a β = livello di rischio sistemico del mercato).
Da ciò deriva che il premio al rischio necessario perché un individuo scelga quell’investimento dipende dal grado di avversione al rischio dell’individuo stesso. Questo modello può essere applicato nel caso delle PMI per calcolare il loro grado di rischio e quindi il premio corrispondente da applicare da parte delle banche per investirvi.
Tuttavia, calcolare la quota di rischio sistemico β corrispondente a una singola PMI (non quotata) risulta molto complesso a causa dell’incompletezza del mercato. Per ovviare a ciò, viene in aiuto il modello del Certo Equivalente di Lintner da cui deriva un’equazione ponderata per la media di un campione statistico d’imprese dello stesso settore (e di cui per rispetto del lettore omettiamo l’esposizione matematica)
Si vedano per approfondimenti di quanto suesposto i lavori di G. M. Mantovani, E. Basilico, M. Mestroni (2013), (2014) e Z. Bodie, A. Kane, A. Marcus (2010) riportati nella tesi di laurea di Valentina Bittoto a.a. 2013/2014.
Altro fattore da considerare, poi, è che l’impianto delle regole di Basilea II e poi III, prevede proprio una minor severità nell’assorbimento patrimoniale e di accantonamento da parte delle banche erogatrici nei confronti delle PMI, quelle cioè che costituiscono il substrato industriale tipico del mezzogiorno, privo dei grandi gruppi presenti nell’Italia settentrionale.
Infatti, a parità di merito creditizio, i finanziamenti alle piccole e medie imprese impegnano una quantità di patrimonio degli istituti di credito significativamente inferiore a quella richiesta a fronte dei prestiti concessi a imprese di maggiore dimensione.
Ovviamente non si possono emettere giudizi che spettano alle autorità preposte; ma, In sintesi, urge rivedere davvero a fondo un sistema probabilmente in bilico, fortunatamente solo in limitati casi, tra faciloneria e complicità.
0 commenti