Tribunale di Busto condanna avvocato di SDL Centrostudi
Il Tribunale di Busto non ha dubbi nel giudicare una specifica alta rischiosità e pericolosità nell’incardinare un giudizio civile mediante perizie tecniche a volte troppo semplicistiche e generiche, io aggiungo anche fatte in serie e spesso per nulla aderenti alle problematiche tra cittadino e banca.
L’avvocato, nonostante la convenzione con l’azienda SDL resta comunque responsabile di osservare il dovere dell’informazione preventiva piena, completa, analitica, esaustiva e comprensibile, tale da permettere ai clienti una decisione informata e consapevole.
In questa sentenza, quindi, è stato rilevato il fatto implicito che dinnanzi ad una informazione completa ed esaustiva sui rischi di causa, la maggior parte delle vittime della SDL non avrebbero intrapreso l’azione giudiziaria così incerta e costosa.
IN QUESTO ARTICOLO TROVERAI
- Le richieste degli attori ex clienti SDL Centrostudi
- Motivi della decisione del Giudice Dott. Nicola Cosentino del Tribunale di Busto
- Condanna dell’avv. De Donno convenzionato alla SDL Centrostudi
Le richieste degli attori ex clienti SDL Centrostudi
Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori convenivano in giudizio l’avv. De Donno chiedendone la condanna al risarcimento del danno derivato da colpa professionale nell’esecuzione del mandato difensivo conferitogli nella causa con RG n. 8037/2014 promossa davanti a questo tribunale nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro.
Gli attori esponevano di avere commissionato alla società SDL Centrostudi, in forza di contratto del 9/4/2014, una relazione tecnica volta a verificare eventuali anomalie e irregolarità del mutuo fondiario da essi contratto con la predetta Banca.
Poiché la relazione redatta dei professionisti operanti per SDL Centrostudi evidenziava l’usurarietà del mutuo (in considerazione della sommatoria tra interessi corrispettivi e interessi moratori pattuiti) nonché l’illecita applicazione degli interessi anatocistici (insita nel piano di ammortamento c.d. alla francese) e profili di indeterminatezza dell’oggetto di talune clausole contrattuali, gli attori avevano conseguentemente conferito procura alle liti all’avv. De Donno del foro di Milano quale difensore indicato dalla stessa SDL Centrostudi conformemente a quanto prescritto dal contratto di consulenza del 9/4/2014 affinché promuovesse azione resti tutorie nei confronti della banca. … omissis… .
Proseguivano gli attori riferendo l’esito sfavorevole del giudizio avendo il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza n. 414/2017 del 17/3/2017 rigettato tutte le domande attoree e condannato gli attori a rifondere alla Banca Nazionale del Lavoro le spese di lite nonché il diniego opposto della società di assicurazione ITAS MUTUA S.p.A. alla richiesta di indennizzo formulata dagli odierni attori, sulla scorta del contratto di assicurazione sottoscritto in collegamento con il contratto di consulenza intervenuto con la SDL Centrostudi per l’ipotesi di soccombenza in giudizio, avendo invocato la società assicuratrice ITAS MUTUA una pretesa inoperatività della polizza nel caso di specie, a suo giudizio ricorrente, di rigetto della domanda per grave colpa professionale del difensore.
Gli attori deducevano, dunque, che l’esito negativo del giudizio intrapreso era dipeso dall’improvvida iniziativa giudiziaria dell’avv. De Donno il quale aveva sostenuto acriticamente le tesi esposte nella relazione tecnica predisposta da SDL Centrostudi non tenendo conto che, già all’epoca dell’inizio del giudizio, la giurisprudenza di merito prevalente aveva sconfessato dette tesi … omissis…
Denunziavano, altresì, gli attori che l’avvocato convenuto (con convenzione SDL) aveva omesso di dare compiuta informazione “dell’elevatissimo rischio di soccombenza” e, anzi aveva omesso di dissuaderli dall’intraprendere l’azione giudiziale in quanto priva di qualsiasi “concreta possibilità di riuscita” e destinata ad un insuccesso certo.
Gli attori concludevano pertanto, chiedendo la restituzione del compenso professionale versato al convenuto (euro 6.393,20) nonché il risarcimento del danno rappresentato dall’esborso sostenuto per rifondere le spese di lite alla controparte vittoriosa e le spese di causa (euro 8.434,41).
Si costituiva in giudizio il convenuto Avvocato convenzionato con SDL Centrostudi contestando la fondatezza della domanda attoria e chiedendone il rigetto.
In particolare il convenuto rilevava la propria correttezza professionale e l’esatto adempimento del mandato difensivo ricevuto, evidenziando che la giurisprudenza di legittimità pubblicata al momento dell’inizio del giudizio, ed anche quella successiva, deponeva per l’elevata probabilità di accoglimento delle domande attoree, di avere sviluppato criticamente i contenuti tecnici della relazione predisposta della SDL Centrostudi (che, peraltro, era tenuto a porre al centro della propria strategia difensiva per accordi intervenuti con SDL Centrostudi che lo aveva indicato agli attori) …
Deduceva il convenuto di aver sempre informato gli attori della “natura aleatoria di ogni giudizio” e della “possibilità di contestazione dei criteri di matematica finanziaria e giuridici indicati nella perizia” e di avere specificatamente consigliato agli attori la rinuncia alla causa nel momento in cui il giudice istruttore, rigettata la richiesta di espletamento di C.T.U. …
Deduceva, quindi, il convenuto, che gli attori avevano deciso di proseguire nel giudizio nonostante tale consiglio e che tale comportamento doveva essere considerato ai fini dell’applicazione in via subordinata, dell’art. 1227 c.c., riconoscendosi un concorso di colpa del danneggiato in grado di ridurre il risarcimento eventualmente dovuto. Sotto altro profilo la condotta degli attori doveva ritenersi censurabile anche relazione alla mancata coltivazione della richiesta di indennizzo alla società assicuratrice ITAS MUTUA, stante l’insussistenza di clausole di limitazione del rischio assicurato relative ai profili di grave colpa nell’intrapresa del giudizio contro la banca finanziatrice.
Esclusa ogni propria colpa professionale e ricondotto l’esito del giudizio alla normale alea della causa, in un ambito tecnico e ancora “nuovo” al momento del suo inizio il convenuto invocava altresì il disposto di cui all’art. 2236 c.c. stante la speciale difficoltà della prestazione, concludendo come già sopra ricordato.
La causa perveniva in decisione senza lo svolgimento di ulteriori attività istruttoria e sulla base dei soli documenti prodotti dalle parti.
Motivi della decisione del Giudice Dott. Nicola Cosentino del Tribunale di Busto
La domanda attorea è fondata sulla deduzione dell’inadempimento dell’avvocato incaricato dagli attori al contratto d’opera professionale tra di essi intercorso, avente ad oggetto la difesa del giudizio civile di cui si è detto.
Detta domanda si articola in una domanda di restituzione, ex art. 2033 c.c., del compenso pagato, e in una domanda implicita di risoluzione del contratto d’opera ex art. 1453 c.c. da ritenersi inequivocamente presupposta dagli attori per il fatto stesso di ritenere privo di causa il suddetto pagamento e dovuta la restituzione del dello stesso (v. Cass. Sez. 2 Sentenza n. 19513 del 18/9/2020; Sez. 6 – 1 Ordinanza n. 24947 del 23/10/2017, secondo cui “la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ben potendo essere implicitamente contenuta in un’altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione”, proprio nel riguardo al caso di richiesta di restituzione della prestazione eseguita dalla parte non inadempiente). Completa il quadro delle richieste attoree la domanda di risarcimento del danno derivante del prospettato inadempimento.
L’inadempimento circostanziato degli attori si sostanzia, da un lato nell’imperizia del difensore, il quale avrebbe iniziato giudizio trascurando il quadro giurisprudenziale sfavorevole alle tesi esposte nella citata relazione econometrica che indicava chiaramente l’improbabilità di un accoglimento delle domande svolte e dall’altro nella negligente violazione dell’obbligo di informazione, da adempiere preliminarmente all’inizio del giudizio, circa l’alea elevatissima della causa stessa.
L’inadempimento lamentato dagli attori va ritenuto sussistente oltreché grave ai sensi dell’art. 1455 c.c., per le assorbenti considerazioni che seguono.
L’articolo 40 del Codice Deontologico Forense approvato in data 17.4.1997 e successivamente modificato, vigente all’epoca del conferimento dell’incarico oggetto del presente giudizio, già poneva a carico del difensore l’obbligo di “informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzioni possibili”. Non vi è dubbio che, tra le “caratteristiche” della controversia, rilevanza primaria assume il rischio di causa ovvero la stima della probabilità di successo della causa, in una prospettiva di ponderazione tra risultati ragionevolmente attesi e costi di difesa necessari, anche in relazione alla propensione di capacità finanziaria del cliente di sottoporsi a detti costi e detti rischi.
La necessità della preventiva e completa informazione del cliente è stata poi codificata dalla previsione di cui all’art. 13, 5 comma, 1. n. 247/2012 secondo cui “il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico”.
L’obbligo di informazione preliminare su tutte le circostanze utili affinché il cliente potesse assumere consapevoli decisioni in ordine all’avvio o meno di un contenzioso giudiziario, trovava comunque solido fondamento nell’obbligo di condotta secondo buona fede operante sin dalla fase anteriore al conferimento dell’incarico, ai sensi degli artt. 1337 e 1375 c.c. nonché nel dovere di diligenza professionale qualificata derivante all’art. 1176, comma 2, c.c.
Sulla base di tali principi e norme, la giurisprudenza di legittimità ha statuito da tempo che “nell’adempimento dell’incarico professionale conferitogli, l’obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176 , comma 2, e 2236 c.c., impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto , comunque insorgenti , ostative al raggiungimento del risultato, O comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo peraltro essendo il rilascio da parte del cliente delle procedure necessarie all’esercizio dello “jus postulandi”, stante la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio”. (Cass. Sez. 2 Sentenza n. 14597 del 30/07/2004; esattamente in termini v. anche Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 19520 del 19/07/2019).
Venendo alla controversia in esame, va in primo luogo rilevato che la controversia promossa dagli attori davanti al Tribunale di Busto Arsizio nel 2014 si caratterizzava come di elevata complessità e di forte aleatorietà quanto all’esito
La tesi sostenuta nella relazione tecnica fornita, ricordiamo redatta dalla società la SDL, su cui si sarebbe incentrata la citazione notificata dagli attori alla Banca, ovvero la comparabilità con il tasso soglia, frutto delle rilevazioni trimestrali effettuate in base all’art. 2, 1, n. 108/1906, della mera somma tra il tasso degli interessi corrispettivi e il tasso degli interessi moratori, non può definirsi semplicisticamente una delle diverse soluzioni interpretative possibili, tutte ugualmente legittimate, al quesito circa le modalità di rilievo e computo degli interessi moratori ai fini della verifica di usurarietà.
È esatto ricordare che, già all’epoca di inizio del procedimento giudiziario seguito dall’avvocato convenzionato con la società SDL Centrostudi, costituiva principio pacifico della giurisprudenza di legittimità quello della rilevanza usuraria degli interessi di mora, non essendovi mai stati pronunciamenti dalla S.C. (Suprema Corte) che affermassero il contrario.
Del tutto incerto era, tuttavia, il procedimento con il quale sarebbe stato possibile computare nel costo complessivo del credito dell’interesse moratorio, attesa la mancanza di rilevazione statistica di tale tipologia di tasso da parte della Banca d’Italia (nel senso stretto della rilevazione ai fini dell’applicazione della disciplina antiusura) e la mancata costruzione di tale voce nel TAEG medio relativo alle singole tipologie di operazioni di credito.
La tesi giurisprudenziale secondo cui tale computo avrebbe dovuto avvenire attraverso la semplice somma tra tasso corrispettivo (rilevato nel TAEG medio) e tasso di mora presentava un forte tasso di criticità e non costituiva certo l’unica soluzione prospettata in sede giurisprudenziale. Del resto, è la stessa parte convenuta che, più volte nei propri atti difensivi, sostiene il carattere nuovo e inesplorato della tematica.
Certamente, della delicatezza della valutazione tecnica di tale punto controverso la relazione tecnica predisposta da SDL Centrostudi, e posta a fondamento del proprio atto difensivo dell’Avv. De Donno non da conto in alcun modo, limitandosi ad aderire ad una soluzione del tutto semplicistica e grossolana … omissis… La perizia econometrica fornita da SDL Centrostudi… limitandosi ad affermazioni apodittiche che per la loro astrattezza, poco si attagliavano al caso concreto. … Nemmeno è allegato in atti il fantomatico parere pro veritate che avrebbe fornito la base giuridica della suddetta perizia, più volte citato ma di contenuto rimasto ignoto. …
Da quanto appena riferito, emerge come le due questioni principali poste dalla perizia tecnica allegata in giudizio fossero tali da non consentire una prognosi di alta probabilità di accoglimento della domanda attoria e, anzi, fossero suscettibili di trovare esiti del tutto opposti in sede giudiziaria.
Senza con questo entrare nel merito delle questioni stesse, occorre dire che tali considerazioni avrebbero dovuto informare la condotta del difensore al momento del conferimento dell’incarico, inducendo ad una completa disclosure circa l’elevato rischio di causa, l’assenza di precedenti di legittimità confortanti, l’esistenza di una forte incertezza e oscillazione giurisprudenziale nei gradi di merito e, in conclusione, imprevedibilità dell’esito del giudizio.
A fronte di tale specifica aleatorietà della controversia che si andava ad iniziare, l’informazione preventiva avrebbe dovuto essere piena, completa, analitica, esaustiva e comprensibile, tale da permettere ai clienti una decisione informata e consapevole.
A fronte dell’eccezione di inadempimento di siffatto obbligo informativo, la cui estensione – si badi – giunge al limite della dissuasione dell’esperimento del giudizio, il convenuto si è limitato a dedurre del tutto genericamente l’adempimento dei propri obblighi informativi circa l’alea insita in qualsiasi contenzioso giudiziario (alea irrilevante ai fini del presente giudizio, ove si discute dell’alea specifica del contenzioso contro la BNL) senza tuttavia offrire alcuna prova dell’esatto adempimento del proprio obbligo (nessun capitolo di prova orale è stato dedotto sul punto).
Priva di pregio è la difesa del convenuto secondo cui avrebbe assolto al proprio obbligo informativo nel corso della causa, quando il giudice istruttore, rigettando ogni stanza istruttoria attorea, aveva mostrato la propria propensione a disattendere la tesi esposte nella relazione tecnica allegata. È chiaro, infatti, che l’informativa data e clienti circa l’elevata probabilità del rigetto, a quel punto, della domanda svolte e dall’opportunità, addirittura di pervenire ad un accordo con la controparte che prevedesse l’abbandono della causa a spese compensate, non costituisce adempimento dell’obbligo di informazione preventiva sopra e nucleato ma piuttosto del ben diverso e distinto obbligo di informazione circa gli sviluppi della causa stessa e le conseguenti modifiche delle strategie difensive.
Deve dunque accertarsi l’inadempimento del difensore all’obbligo di illustrare al cliente, preventivamente, i rischi della causa e le probabilità di successo ragionevolmente sperabili.
Tale inadempimento si connota senz’altro in termini di gravità, ex art. 1455 c.c., in quanto l’omessa informazione ai clienti, odierni attori, verteva sul cruciale punto dell’opportunità o meno dell’inizio del giudizio e sulla valutazione del rapporto tra i costi della causa e i vantaggi economici effettivamente sperabili, aspetti decisivi per stabilire se conferire o meno la procura alle liti.
Non ricorre la possibilità di applicazione della limitazione della responsabilità del professionista convenzionato con SDL Centrostudi, ex art. 2236 c.c., in quanto afferente ai soli casi di imperizia mentre la violazione degli obblighi di informazione preventiva del cliente attiene invece alla diligenza professionale.
Va pertanto accolta la domanda implicita di risoluzione per grave inadempimento contrattuale del difensore, con conseguente condanna di quest’ultimo alla restituzione del compenso versato, nella misura indicata dagli attori e incontestata.
Venendo all’accertamento e liquidazione del danno conseguente, ex art. 1223 c.c., occorre escludere la rilevanza ex art. 1227, primo e secondo comma c.c., della condotta tenuta degli odierni attori all’indomani del ricevimento della email del difensore con la quale si avvertiva del probabile rigetto delle domande svolte e dall’opportunità dell’abbandono del giudizio.
In primo luogo, non vi è prova che eventuale decisione di abbandonare la causa avrebbe incontrato l’adesione della controparte e, così, limitato in qualche misura i costi della soccombenza.
In secondo luogo il risparmio di spesa derivato dalla mancata redazione delle memorie conclusive da parte del difensore convenuto è irrilevante allo scopo, in quanto la remunerazione di tale attività non costituisce danno risarcibile ma corrispettivo della prestazione professionali e, pertanto, oggetto di domanda non già risarcitoria ma restitutoria, sottratta come tale al disposto di cui all’art. 1227 c.c., sotto questo profilo, pertanto, l’abbandono della causa non avrebbe ridotto il danno risarcibile.
Infine, la decisione di proseguire nella causa fino a sentenza, in una fase in cui la trattazione e l’istruttoria erano superate e occorreva solo la decisione definitiva del giudizio, non sembra invero suscettibile di censura, quale concorso colposo al prodursi o all’aggravamento del danno, costituendo una legittima scelta processuale dato lo stato di avanzamento della causa della causa e l’assenza di concrete e utili alternative. … omissis…
In altri termini, per connotarsi in termini di discorso colposo, la condotta degli assistiti avrebbe dovuto presupporre ciò che, ancora una volta, mancava da parte del difensore, ovvero una corretta informazione sugli sviluppi e prospettive nel contenzioso ormai in essere.
Il danno prospettato dagli attori, relativo essenzialmente ai costi di soccombenza, risulta causalmente riconducibile all’inadempimento dell’obbligo di informazione preventiva rimasto inosservato. Ed infatti, la decisione degli attori di non proporre appello avverso la sentenza denota come gli stessi non avessero intenzione di assumere i rischi elevati di un contenzioso tecnicamente non semplice e dall’esito imprevedibile. Nello stesso senso depone anche la natura dell’operazione finanziaria oggetto del contenzioso, un mutuo fondiario per l’acquisto della casa d’abitazione, e l’ammontare non elevato della somma mutuata (150 milioni di vecchie lire), indici di propensione al rischio e capacità finanziaria modeste.
Infine, il grado molto elevato del rischio di causa che avrebbe dovuto essere correttamente e preventivamente rappresentato, induce a ritenere che solo un cliente disposto a rischiare oltre misura avrebbe avuto interesse ad una causa siffatta.
Può presumersi, pertanto, che in presenza di un’informazione davvero completa ed esaustiva sui rischi di causa gli attori non avrebbero intrapreso l’azione giudiziaria, dovendosi ritenere che i costi supportati a seguito della soccombenza sarebbero stati evitati dall’esatto adempimento dell’obbligazione informativa del difensore.
Il danno prospettato anch’esso incontestato in termini numerici va pertanto interamente riconosciuto.
Sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno sono dovuti, pur non richiesti, interessi e rivalutazione monetaria quali componenti necessarie del danno medesimo. (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 24468 del 4/11/2020)
Non sono dovuti al contrario, perché non richiesti, gli interessi legati alle somme dovute a titolo di restituzione.
Le spese seguono la soccombenza
Condanna dell’avv. De Donno convenzionato alla SDL Centrostudi
Il Tribunale di Busto Arsizio nella persona del Giudice Dott Nicola Cosentino, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
– condanna il convenuto alla restituzione, in favore degli attori, della somma di 6.393,20 €
– condanna il convenuto al pagamento, in favore degli attori, della somma di 8.434,41 € oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sulle somme annualmente rivalutate dal dì degli esborsi ad oggi;
– condanna altresì la parte convenuta a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che si liquidano in 4.000 € per compenso professionale, oltre spese generali, IVA, c.p.a. e anticipazioni (c.u., marche a spese di notifica)
Busto Arsizio 24 febbraio 2021
Il Giudice
Dottor Nicola Cosentino
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